Oggi è il Rare Disease Day, la giornata mondiale delle malattie rare. Quella che sta in mezzo tra la giornata internazionale dell’orsacchiotto e quella dell’abbraccio; quella più importante della celebrazione dell’unghia incarnita ma con meno visibilità di quella del panda.
Insomma la giornata di cui non frega niente a nessuno se non a quelle persone che la vivono in un costante senso di nausea causato dal menefreghismo, dal protagonismo fine a se stesso, e dal pietismo che fa peggio dell’indifferenza.
Le stesse persone che durante il resto dell’anno si affannano per combattere per i propri diritti, quelle che anche nel corso della pandemia sono state dimenticate, come sono state dimenticate anche nella campagna vaccinale. Quelle che non sono inserite in nessuno elenco, quelle del “se ne avanza qualche dose la daremo anche a loro”.
I famosi invisibili, quelli che vengono presi per malati immaginari, che per anni vagano da un ambulatorio all’altro, da una regione all’altra in cerca di qualcuno che vada oltre il proprio limite, qualcuno che umilmente riconosca la sua ignoranza e che ne faccia un punto di forza per cercare di dare un nome a quello che non conosce.
Talmente invisibili da non aver diritto a un’assistenza sociale, sanitaria ed economica.
Oggi è la giornata non mondiale, ma universale, del tempo buttato via, dei fiumi di lacrime versati per l’umiliazione, l’emarginazione, la discriminazione e la violenza, quella verbale, quella psicologica, quella che ti logora dentro, quella che ti rende vulnerabile. La celebrazione dell’ignoranza, della superficialità, dell’egocentrismo, dei finti eroi. La giornata dei sogni persi, delle speranze disperate, delle famiglie distrutte, delle vite interrotte, dei bisogni inascoltati. La festa del dolore, quel magnifico bastardo che i questo giorno si sente un re indiscusso, in tutte le sue forme, in tutta la sua potenza devastante. Una giornata che più che celebrata dovrebbe essere dimenticata per ricordare il resto dei giorni, quei lunghissimi giorni di solitudine e sofferenza che caratterizzano gli anni e la vita intera dei malati rari e orfani di diagnosi.
Per tutta la vita mi sono sentita invisibile, o meglio, per tutta la vita mi hanno fatta sentire invisibile. Troppo giovane per stare male, troppo carina per essere malata… era tutto troppo per riuscire ad avere un minimo di ascolto. Mi hanno fatto perdere tempo prezioso, vita, sogni, progetti. Ho speso più della metà della mia vita a cercare di stare meglio per poter vivere il tempo rimanente, quello che si consuma troppo velocemente, quello che nessuno ti restituirà mai.
Passano gli anni, passano le giornate mondiali malattie rare, ma la superficialità resta. E’ come un virus che non si riesce a debellare. Ancora oggi quel maledetto stress è il protagonista indiscusso delle mille visite andate a vuoto, quelle in cui l’unica certezza che ti inculcano è quella del “è tutta colpa mia”. Con la vita delle persone non si gioca, è quello che subiamo è un vero gioco al massacro.
Il messaggio che voglio lasciare in questo Rare Disease Day 2021 è quello del “tolleranza zero”. Basta farsi schiacciare, farsi mettere da parte, subire umiliazioni e ingiustizie. Raccontare, condividere la propria storia e denunciare pubblicamente ogni forma di sopruso deve diventare una regola per cercare di cambiare davvero la situazione. Non abbiate paura delle conseguenze perché le conseguenze più temibili sono solo quelle del silenzio, quelle che paghiamo sempre e solo noi con la nostra vita.
Dobbiamo far diventare questa giornata un simbolo di rivincita, di riscatto, di risurrezione. Una giornata che dia luce al resto dei giorni che ancora oggi soffrono di uno stato di abbandono non più tollerabile.

La Zebrah Rosa® by Deborah Capanna